Le collezioni del Museo: formazione ed esposizione

Ringrazio innanzi tutto il Soprintendente per avermi invitato in questa sede a parlare delle collezioni del Museo. Argomento interessante, non solo per la particolare storia di questo museo, ma anche per il contesto, storico, culturale ecc. Tra l’altro una delle cose che vengono fuori è proprio il costante convergere di forze diverse, che spesso riescono virtuosamente a sommarsi. Le collezioni del Museo: formazione ed esposizione. Perché ci sia un museo, dev’esserci una collezione, esposta in una certa maniera. Un museo non è un magazzino in cui tutto quanto è graziosamente disposto in vetrine ben illuminate e corredato di cartellini con nomi e date. Per lungo tempo, in passato, il possesso di antichità come sacre reliquie da esibire come status symbol è stato un elemento di prestigio del principe. D’altra parte il patrimonio culturale non è un semplice insieme di oggetti fisici, opere d’arte, monumenti, reperti storici; è l’insieme di questi oggetti e dei significati simbolici che la comunità attribuisce loro. Nel 1794 con la Rivoluzione Francese, la madre di tutte le attuali democrazie, si stabiliva il diritto della società sul patrimonio culturale: “Voi siete soltanto i depositari di beni di cui la grande famiglia del popolo potrà chiedervi conto”. Il ruolo sociale del patrimonio culturale e delle istituzioni che lo custodiscono deve rimanere centrale; la conservazione e la comunicazione del complesso di oggetti e dei loro significati simbolici sono essenziali per l’identità di una comunità. Nella maggior parte dei paesi in cui vige un’economia di libero mercato si è affermata l’idea – ampiamente dimostrata dai fatti – che la gestione delle istituzioni culturali non è redditizia in termini di guadagno diretto, mentre è molto alto il valore sociale in termini di identità.
La nostra storia comincia almeno un secolo fa. In una conferenza tenuta a Centuripe nel novembre del 1906 si parlava di ambiente e beni culturali come volano per l’economia; di monumenti come risorsa economica non rinnovabile. Luigi Sagone, parlando di “Centuripe di fronte al movimento moderno”, precisava di non essere nato né di vivere a Centuripe e diplomaticamente diceva: “La mia conferenza (…) non conterrà alcun che di originale: in ciascun argomento che tratterrò voi riscontrerete una vostra idea, una vostra proposta in un tempo qualunque, un programma da voi ideato.” Doveva anche avere delle buone conoscenze, se il testo della conferenza fu subito stampato in fascicolo “per cura del Municipio”.
Si riteneva che Centuripe avesse tutte le carte in regola per diventare un importante centro turistico, bastava prenderne atto e darsi da fare. Importante il riferimento al patrimonio archeologico, alla costituzione di un museo, alla salvaguardia dei monumenti: “Centuripe ha notato sempre quanto ella possedesse di antico, ha presenziato l’esodo di tutto ciò che sarebbe onore e gloria per la sua storia, ha trascurato tutto quanto potesse essere ragione di nuovo commercio e di nuovo richiamo.”
Per la “formazione di un museo” non sembrava ci fossero problemi insormontabili. Per “il contenuto” si contava sulla disponibilità di due volenterosi cittadini, i signori Luigi Campagna e Pietrangelo Mammana. Per i locali: “quand’anche l’Amministrazione non vorrà per questo provvedere, quando l’entusiasmo sarà unanime troveremo sempre un cittadino facoltoso che offrirà una stanza.”
L’episodio ovviamente va visto nel suo contesto. Poche settimane prima a Catania Luigi Rava, Ministro della Pubblica Istruzione, aveva inaugurato l’anfiteatro romano. Agli inizi del ’900 l’accoppiata Corrado Ricci e Luigi Rava, direttore generale e ministro, ha una grande importanza per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Proprio i concetti di risorsa non rinnovabile, di vincolo tra patrimonio culturale e luogo, tornano di continuo nel dibattito che in quegli anni ferveva in Italia sulla protezione di quello che oggi si definisce appunto patrimonio culturale; dibattito che porterà poi all’approvazione della legge n° 364 del 1909 “Per le antichità e le belle arti”.

Lo scavo e la presentazione di una parte dell’anfiteatro, a piazza Stesicoro e con i cuniculi illuminati elettricamente, era opera di Filadelfo Fichera, direttore dell’ufficio tecnico municipale; nella città importante più vicina, proprio in quel momento si prestava attenzione alla valorizzazione del patrimonio archeologico, non solo per l’interesse culturale, ma anche per la possibilità di un utilizzo in un progetto complessivo di sviluppo della città.
Ma è di grande interesse anche il confronto con quanto, contemporaneamente (1907-1909), scriveva Paolo Orsi. Grande archeologo e personaggio che ha profondamente lasciato il segno nell’archeologia della Sicilia; in quegli anni, cosa più importante ai nostri fini, rappresentava localmente le istituzioni, lo Stato con i suoi poteri di tutela. Si vede tra l’altro il mutare di atteggiamento del civil servant Orsi prima e dopo la legge di tutela: prima cercava di seguire gli scavi del proprietario terriero e di acquistare quel che poteva per il Museo; mentre dopo cerca di imporre il divieto di scavi non autorizzati, ovviamente con tutti i problemi delle comunicazioni dell’epoca. Nel dare notizia dei primi scavi sistematici a Centuripe, osservava: “Ma pria di tutto era necessario che una buona volta si tentasse quello scavo ufficiale e sistematico che mai sin qui erasi effettuato per conto ed a cura del Governo. Negletta completamente per quasi un secolo, Centuripe vide esulare dalle sue terre un immenso e prezioso materiale, soprattutto di terrecotte plastiche, in gran parte disperse nei Musei esteri”. E più avanti: “La crisi dell’industria vinicola, durata quasi un ventennio, aveva lasciato in un certo riposo le terre centuripine, più feraci di antichità che di prodotti agricoli; ma nell’ultimo tempo le migliorate condizioni economiche hanno spinto alla ricostituzione dei vigneti da tempo perduti. E poiché tutte le contrade prossime alla città sono una ricca miniera archeologica, ripetute scoperte di terrecotte avvenute nel 1906-07, delle quali purtroppo solo una piccola parte io riuscii a porre in salvo, richiamarono seriamente la mia attenzione sulla inesplorata città. Sorvolando sopra altri punti del mio programma archeologico, decisi di seguire colà una campagna di scavi, che nel maggio-giugno u.s. ebbe la durata di quaranta giorni, né fu condotta invano.” I ritrovamenti ovviamente prendevano la strada di Siracusa, del Museo Nazionale. Di passaggio notiamo che l’etichetta “Nazionale” stava a indicare museo di proprietà della Nazione, a disposizione dell’intera Nazione; ma stava anche a indicare il ruolo che i musei dovevano svolgere nel contribuire a definire l’identità nazionale. Era in questi termini che la cultura dell’epoca si poneva il problema delle identità locali.
Evidentemente le proposte di Sagone per la costituzione di un’associazione, per la promozione di un museo locale, non ebbero grande successo; qualche anno dopo la collezione Mammana pervenne per acquisto al Museo di Siracusa.
Nel 1926 Guido Libertini pubblicava il libro su Centuripe, sistemazione organica della ricerca archeologica nella città; da lì prende le mosse tutta la ricerca successiva. Nello stesso periodo viene organizzato un museo locale, in un’ala del palazzo municipale. Direttori onorari sono stati illustri professori di archeologia nell’Università di Catania: lo stesso Guido Libertini prima, Giovanni Rizza poi. L’allestimento era quello tipologico, di regola all’epoca. Il gruppo di sculture e iscrizioni di epoca romana; le vetrine di legno lineari, luminose, con le terracotte di epoca ellenistica (quelle per le quali Centuripe è universalmente nota nella bibliografia archeologica); i vasi greci a figure rosse; la ceramica locale di età greca; la collezione numismatica. Con gli stessi criteri, e con le stesse vetrine, negli anni Trenta lo stesso Libertini allestiva a Catania il Museo Civico di Castello Ursino, di cui era pure Direttore onorario. Un piccolo ricordo personale: da studente in viaggio d’istruzione ho fatto in tempo a vedere il vecchio museo prima che, alla fine degli anni Settanta, un grosso furto decimasse le collezioni (degli oggetti scomparsi ovviamente rimane la documentazione delle schede inventariali).


Poi venne il 1968. Iniziarono le sistematiche campagne di scavo alla necropoli di Piano Capitano, ad opera della Soprintendenza di Agrigento, all’epoca competente per territorio, e con la direzione scientifica dell’Università di Catania. Da allora i materiali da scavo sono rimasti a Centuripe, accanto alla vecchia collezione del museo locale. Soprintendente di Agrigento era il prof. Ernesto De Miro. Direttore dell’Istituto di Archeologia era il prof. Giovanni Rizza, che era anche Direttore Onorario del Museo di Centuripe. Nella vecchia sede quei materiali non sono stati mai esposti. Semplicemente non c’era spazio. E questa sede non era ancora disponibile.
Ho avuto l’onore di dirigere il Museo Civico di Centuripe dal 1990 al 2005. Nel 2000 è toccato a chi vi parla occuparsi del trasloco e dell’allestimento in questa sede. E’ stata una bella avventura. La squadra del Museo è stata grande: tanta voglia di lavorare; la professionalità, affinata in quell’occasione, è rimasta un patrimonio comune. Grazie alla collaborazione di tutti, compresa la Polizia Municipale che ha garantito le scorte al trasferimento dei pacchi accuratamente numerati, l’ingente mole di materiale è stata spostata conservando sempre la connessione con i dati di scavo. Era come pescare nel cilindro del prestigiatore: gli angusti locali della vecchia sede sembravano non svuotarsi mai.


Per il nuovo allestimento si è seguito il principio di fare storia attraverso la presentazione di oggetti e di risultati di scavi, con un percorso organico che possa fare da filo conduttore e una esposizione che permetta una corretta fruizione dell’opera d’arte, ma che permetta anche di suggerire il contesto in cui vanno visti i diversi oggetti. In collaborazione con la Soprintendenza, si è sempre cercato di rendere evidente il collegamento tra le cose esposte e il sito archeologico (in questo senso si è anche orientata l’attività di informazione per il pubblico svolta dal Museo). Niente disposizioni da Wunderkammer: l’esposizione è stata inaugurata negli ultimi giorni del XX secolo. Il percorso ha seguito una divisione di comodo tra siti dell’abitato, distribuiti su un piano, e necropoli nell’ammezzato (l’altro piano di esposizione non era ancora utilizzabile). Più che seguire rigorosamente la sequenza cronologica della città, si è fatta una presentazione per siti; all’interno di questi si è seguito lo sviluppo cronologico. Per contestualizzare le cose esposte, ci si è affidati all’uso di ricostruzioni, plastici, disegni. L’esposizione delle necropoli non è una carrellata di oggetti belli, un noioso campionario di vasi e vasetti, ma mira a fornire un approccio alla storia dei vivi. L’allestimento è piaciuto ai visitatori, che si sono infatti accollato l’onere della pubblicità. Anche un visitatore “difficile” come Vittorio Sgarbi è uscito tessendo lodi.


Nel 2007 l’esposizione è stata ampliata su un altro piano, spostando le necropoli, realizzando un’esposizione tematica per alcuni argomenti, aggiungendo novità lungo tutto il percorso. E’ stato un piacere in quell’occasione fare parte della squadra diretta dal Soprintendente, la dott. Beatrice Basile che oggi è qua con noi. Fondamentalmente si è rispettata l’impostazione del percorso per siti e con divisione tra abitato e necropoli. Il procedere della ricerca arricchisce le collezioni di nuove cose, ma carica anche di un nuovo valore aggiunto quello che materialmente già esisteva. I presenti hanno appena avuto la possibilità di una visita al Museo con la guida d’eccezione della dott. Carmela Bonanno, Dirigente del Servizio per i Beni Archeologici della Soprintendenza: non vorrei quindi correre il rischio di ripetere. Per lo stesso motivo non sto presentando immagini. Solo qualche rapido esempio.
Il complesso dal cosiddetto edificio degli Augustali occupa il centro del piano terra, per chiari motivi logistici: l’ingombro e il peso delle sculture; ma la rilettura del complesso ne fa un momento importante nella comprensione della Sicilia romana. Le statue-ritratto di componenti di una famiglia locale assurta ai vertici dell’Impero erano messe a confronto con componenti della famiglia imperiale, in una visione che simbolicamente richiamava le mitiche radici di Centuripe e le mitiche radici di Roma. A buon diritto costituisce il centro focale attorno al quale si sviluppa l’intera esposizione.


Le terracotte di III-I secolo a.C., maschere teatrali, figurine di danzatrici, ma anche le ceramiche a colori della stessa epoca, sono tra le cose che hanno reso più nota l’archeologia di Centuripe a livello internazionale. Purtroppo sono anche tra le cose più imitate dai falsificatori tra ’800 e inizi ’900. Le conoscenze su questi capolavori dell’artigianato artistico ellenistico a Centuripe stanno crescendo a livello esponenziale; anche grazie a scavi che ci hanno fatto mettere le mani su siti chiave per la comprensione del fenomeno. Queste cose hanno un loro peso nella collezione (dove pure sono poco rappresentati i “vasi centuripini”); hanno anche un ruolo notevole nell’esposizione.


Si diceva dell’esposizione relativa alle necropoli; una grossa parte della collezione deriva dagli scavi a Piano Capitano. Grossi corredi funerari dalle tombe a camera di VIII-VI secolo a.C. consentono di ricostruire la storia della città dei vivi (della quale tra l’altro non conosciamo resti relativi a quest’epoca): si possono seguire le diverse fasi dei contatti della città sicula con i Greci; si possono ricostruire cose come i commerci, ma anche riti funebri, credenze, aspetti più squisitamente culturali o legati alle strutture sociali. L’esposizione ovviamente è in funzione di tutto ciò.


Infine, vado a concludere, mi pare meriti un cenno l’apparire nelle collezioni del Museo di cose appartenenti a un orizzonte cronologico più recente dell’antico. Nel corso degli anni Novanta si è costituito il nucleo principale di una Collezione di Antropologia Culturale, poi inglobata nell’attività del Museo Civico; il riordino museografico ha portato ad una scelta del taglio storico: i cosiddetti “musei della civiltà contadina”, pur svolgendo un importante ruolo di conservazione, sono spesso realtà troppo vaghe. Si è preferito a un certo punto puntare su una esposizione che, nella sede decentrata dell’ex Macello, portasse avanti il concetto di museo della città per le fasi storiche successive alla fondazione del 1548. In fondo, la museografia etnografica in Italia è nata negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, con personaggi come G. Pitré in Sicilia e L. Loria a Firenze e poi a Roma: oggetto dell’indagine era la società circostante, in un momento in cui si stava definendo l’identità della ancor giovane Italia. Si parla ormai di archeologia post-medievale; nei Paesi di lingua inglese ‘historical archaeology’ indica l’archeologia relativa a periodi per i quali si dispone di fonti scritte. Il Codice dei Beni Culturali “apre” all’attribuzione dell’etichetta “archeologia” a collezioni di cose risalenti a più di cento anni. A questo punto si mette l’attenzione sul metodo archeologico più che sull’antichità dell’oggetto.


D’altra parte, nell’esplorazione archeologica del territorio di Centuripe, il dott. Giacomo Biondi, del CNR, cominciò ad imbattersi in cose di datazione un po’ particolare; il metodo dell’indagine archeologica di superficie applicato ai resti relativi alla seconda guerra mondiale, cominciò a far vedere lo scenario dei combattimenti del 1943. Le collezioni del Museo cominciarono ad arricchirsi di una nuova tipologia, che tra l’altro non risale ancora a cento anni fa: forse dovremmo riconoscere che il Museo di Centuripe è veramente all’avanguardia.     Rosario P.A. Patanè

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