Centorbi: sulle tracce dei mulini idraulici

Fino a un’ottantina di anni fa, una capillare rete di mulini rurali, di cui molti idraulici, era attiva anche in Sicilia; questi ultimi erano concentrati in prossimità di fiumi e torrenti, corsi d’acqua con buona portata o forte pendenza, e spesso erano allineati a catena lungo la condotta che ne raccoglieva le acque.
D’impianti molitori, che sfruttavano l’energia dell’acqua, si trovano descrizioni già nei testi antichi: Vitruvio Pollione nel trattato di architettura libro X capo X, Plinio, nella sua storia naturale, libro XVIII capo ventitré, Palladio Rutiglio nel de re rustica titolo XII ecc.

Tracce di mulini, sul territorio centuripino, si colgono nelle “Memorie storiche di Centuripe” di Filippo Ansaldi che, al Tomo II, Libro Primo, Capo XXIV – Dazii, ricorda:
…decreto del 27 luglio 1842… …in seguito di ciò fu in Centorbi stabilito un ricevitore e furono alla sua giurisdizione sottoposti i custodi-pesatori residenti né molini nominati Molinello, Picone, Ragona e Ragonella. Poco dopo però questi due ultimi furono da questa sottratti e posti sotto la dipendenza della ricevitoria di Carcaci, alla quale erano più vicini. Così rimasero alla ricevitoria di Centorbi i soli due molini Molinello e Picone, mentre dalla ricevitoria di Carcaci ne dipendevano sette, nominati e segnati con i numeri così: 1 Pista, 2 Conca, 3 Riso, 4 Cimino, 5 Irveni, 6 Ragona, 7 Ragonella.
La diffusione, poi, negli anni tra le due guerre mondiali, d’impianti meccanizzati in tutti i centri dell’isola, pose fine alle attività dei piccoli mulini idraulici, dalla capacità di macinazione forzatamente limitata. A Centuripe, i mulini Russo e Barbagallo concentrarono, all’interno della città, quasi tutte le attività molitorie, fino alla seconda metà del secolo scorso.

Il seguente percorso, sul territorio centuripino, intende seguire le tracce di questa tipologia di ex strutture produttive tradizionali. Dei due mulini idraulici Molinello e Picone, che facevano riferimento nel 1842 alla ricevitoria di Centorbi, diamo intanto qualche notizia.

Il Molinello, sito presso la contrada Crescinotto, in prossimità della regia trazzera Centuripe–Catenanuova, a sud-ovest da Centuripe, utilizzava come fonte di energia le acque del torrente che dalla struttura prendeva il nome, e, che lì ancora scorre; a quando risalga la costruzione, non si ha certezza assoluta; fonti locali e tipologia costruttiva riportano alla metà del XVIII secolo.

Il piccolo impianto oggi è ridotto allo stato di rudere; ciò nonostante sono ancora visibili alcune pareti, il canale di caduta (botte) e, a monte, l’ampia vasca di riserva idrica dove era canalizzata l’acqua, che veniva captata un centinaio di metri più a monte.

L’impianto del mulino era di piccole dimensioni, e come quelli più antichi, era costituito da due mole da macina, una inferiore fissa e l’altra superiore mobile, collegata, tramite un albero di trasmissione verticale, a una ruota idraulica orizzontale.

La ruota idraulica, cosiddetta turbina, era collocata in un piccolo ambiente con volta a botte sottostante la macina, e veniva messa in movimento dalla spinta dell’acqua, che in quella sede veniva convogliata attraverso la botte verticale.
Il cereale da macinare si versava nella tramoggia, una sorta di imbuto di legno, che sormontava le mole di pietra; la farina si raccoglieva in un cassone sottostante. Con l’impianto a ciclo continuo la capacità di molitura non superava i dieci quintali al giorno

L’ex mulino del Picone, a nord di piano Mandarano e a est del monte Costa Catena, adiacente alla regia trazzera Centuripe – Biancavilla, adottava una diversa tipologia costruttiva.

Come altri mulini presenti in prossimità del fiume Simeto, il mulino era costituito da due botti verticali, due turbìne e un doppio sistema di macinatura; tutto ciò permetteva, anche, la contemporanea macinatura del grano e dei legumi.

Le turbine erano caratterizzate da alette, alte 30 cm. e lunghe 50 cm., fissate ad un mozzo centrale; al centro dei mozzi vi erano gli alberi di trasmissione, calettati, la cui parte superiore a mò di chiovetta veniva infilata e fissata nelle macine superiori.
Le botti, alte circa 5 metri, consentivano che una dosata pressione dell’acqua battesse al centro delle alette, e quindi le turbine, tramite gli alberi di trasmissione, facevano girare le rispettive macine collocate al vano superiore; per interrompere il processo di macinatura, bastava azionare dei pali di legno che interponevano piastre di ferro, fra il getto delle botti e le alette.

Le paratie delle botti, realizzate in calce trave, erano molto spesse per resistere alla pressione dell’acqua, inoltre erano separate dalla paratia del capannone per ovvi motivi cautelativi.
Il capannone, in cui avevano sede le macine, era lungo circa 15 metri e per i 2/3 era percorso da uno “scaricaturi” alto un metro dove venivano depositati i sacchi in arrivo.
La manutenzione richiedeva soprattutto la martellatura delle macine, quando queste diventavano “stanche”, cioè, le superfici levigate dall’uso non erano adeguatamente scanalate.
Di proprietà, fino ai primi anni ’30, del secolo scorso, dei fratelli Francesco e Attilio Marzacane, il mulino fu gestito dal centuripino Anfuso nel periodo dal 1914 ai primi mesi del 1919; fu poi acquisito dalla famiglia Fisichella di Biancavilla, proprietaria, ancora oggi, del fondo. Dell’ex struttura produttiva preindustriale restano, com’è possibile constatare dalle immagini, il canale di adduzione idrica, le botti, le paratie e le macine, che sono interrate.

Gli altri ex mulini ad acqua, individuati sul foglio di mappa catastale n.8, del territorio centuripino, si trovano a nord–est da Centuripe perlopiù in un’area, che è, circoscritta tra il borgo di Carcaci e il fiume Simeto, attraversata (solo dal punto di vista cartografico) dalla “strada comunale mulini”.
La strada, infatti, oggi non è più percorribile, cancelli privati ne occludono il normale transito e parte del tracciato è stato cancellato dal territorio, ciò nonostante è possibile osservare ancora i resti di almeno quattro ex mulini.
Individuati sulla riva ovest del fiume e all’interno, rimangono ancora visibili: i canali di approvvigionamento idrico, tutti con il medesimo orientamento nord-ovest sud-est, le botti verticali, e in qualche caso altri elementi. I nomi storici dei mulini, purtroppo, sono stati smarriti dai numerosi avvicendamenti di proprietà.

L’ex mulino nel fondo Ciancio era costituito da una sola botte larga 180 cm; la canalizzazione, che è possibile seguire per 18 m, era larga 90 e alta 125 cm, con parapetti spessi 35 cm; distante circa 900 m., in direzione nord-est dalla chiesetta del borgo di Carcaci, lo ritroviamo in uno degli acquerelli del pittore francese Jean Houel.

Il pregevole guazzo ritrae, tra il piano di Mazza e lo sfondo di Castelluzzo, lo scenografico Acquedotto di Ragona alle falde dell’Etna: fatto costruire, tra il 1765 e il 1777, dal Principe Ignazio Biscari per portare l’acqua nel suo feudo, fu distrutto nel 1785 dalle piene del Simeto.

L’impianto molitorio, nell’acquerello, è sulla sinistra in primo piano, riconoscibile dalla costolatura di rinforzo alla botte verticale, e dal piccolo arco sottostante la canalizzazione; probabilmente è stato distrutto dal fiume, durante una piena, seguendo la stessa sorte dell’acquedotto/ponte Biscari.

I resti dell’ex mulino nel fondo Cassarà si trovano, anch’essi, sulla strada comunale dei mulini, 100 m. a sud dall’ex mulino Ciancio e a 860 m. direzione nord-est dalla chiesetta di Carcaci;

L’ex impianto produttivo era dotato di una canalizzazione, con spallette alte 90 e larga 120 cm; nel tratto finale, il canale si ampliava fino a due metri e si divaricava in due canali larghi circa 80 cm, alimentando un doppio impianto di molitura.

Immediatamente a sud, sulla strada dei mulini, s’incontra l’ex mulino nel fondo Moschetto, riconoscibile dalla botte verticale in un pregevole stato conservativo.

Dista in linea d’area dalla chiesa di Carcaci 780 m; il fatto che sia stato costruito a cinquanta metri dagli argini del fiume, su una terrazza ben protetta dalle piene poderose del Simeto, ne fanno un caso unico di conservazione. Non è stato, finora, possibile visionarne l’interno, ma è probabile che parte dell’impianto, anche se dismesso, dovrebbe trovarsi ancora in loco.

Dove la strada comunale dei mulini, virtualmente, incrocia la SS. 575, presso il borgo di Carcaci, a circa 120 m. dalla chiesetta, direzione est, si scorgono i resti di una canalizzazione, di una botte verticale, di un ex abbeveratoio e i ruderi dell’ex mulino di Carcaci che occupava una superficie di circa 200mq.

  Il tempo ha avuto ragione anche di questa costruzione, malgrado fosse dotata di contrafforti di spinta a ogni angolo e malgrado le fossero sconosciute le piene del fiume.

Infine, l’ex mulino nel fondo Russo, 170 m. a nord dal ponte Maccarrone sul Simeto, e all’incrocio tra la SS. 121 e la SS. 575 per Troina; è ancora possibile scorgerne la notevole canalizzazione, con eleganti archi di alleggerimento e contrafforti di sostegno alle alti botti verticali.

Era una struttura preindustriale con doppio impianto di macinatura. Difatti, l’ampia canalizzazione, larga 185 cm, nella parte finale si biforca e raggiunge le due botti verticali; sono ancora visibili, nella terrazza sottostante, i vani di alloggiamento delle ruote orizzontali e di deflusso delle acque.
Dei sette mulini che, come riporta l’Ansaldi, dipendevano dalla ricevitoria di Carcaci, ne sono stati individuati solo cinque sul territorio centuripino;

altri mulini idraulici con strutture similari sono stati osservati sulla sponda “adranita” del fiume Simeto; vedi l’ex mulino Sanfilippo a due passi dal ponte Maccarrone. Probabile che qualcuno di essi dipendesse all’epoca dalla ricevitoria di Carcaci. Enzo Castiglione

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