Il falsario che ingannò Mussolini

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LA BOTTEGA DEL FALSARIO

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“La Sicilia” del 21 Luglio 2014

Gabriella Bellucci
L’affaire è risolto. La primula rossa dei falsari di Centuripe ha un nome e un cognome, un volto e un’identità professionale, per così dire. E, come spesso accade nei gialli, non è un estraneo alla trama del delitto ma un personaggio ben noto all’ambiente accademico del tempo, un esperto del settore, in rapporti perfino d’amicizia con i luminari che accanitamente ne difesero le patacche, sostenendo dispute furibonde anche a colpi di querele. Per decenni ha tenuto in scacco antiquari, mecenati, professori universitari, finanche il Duce, rifilando i suoi manufatti di stile ellenistico che sono finiti nei musei di mezzo mondo.
Antonino Biondi – questo il nome del «capostipite dei falsari» – è morto nel 1961, quando ancora il suo nome era circondato da un’aura di prestigio per il contributo dato alle entusiasmanti scoperte archeologiche del sottosuolo centuripino. Basti pensare che nel 1951 acquistò (o almeno così fece credere) il corredo di una tomba, e lo rivendette al Museo di Centuripe, ricevendo anche un premio in riconoscimento della sua opera benemerita.
Un genio della truffa, che ha campato del suo lavoro di tombarolo-restauratore-falsario-ricettatore, dando il via all’attività di famiglia che i suoi discendenti, ormai scomparsi, hanno però continuato a svolgere in maniera legale, riproducendo copie autorizzate di pezzi originali. Anche loro, probabilmente, furono all’oscuro del doppio gioco. Fin quando – ed è storia recentissima – il taccuino di lavoro di Antonino finì nelle mani di Giacomo Biondi, archeologo dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam) del Cnr, che svolge le sue ricerche all’Università di Catania ed è riuscito a smascherare l’inganno. Quasi per ironia della sorte, il suo cognome coincide con quello del falsario. Ma si tratta solo di un caso di omonimia che aggiunge un tocco di suggestione in più (Biondi inchiodato da Biondi) ad una storia che, se non fosse tutta italiana, avrebbe il sapore del romanzesco.
Quando è stato risolto il caso? «Allo studio della Collezione Libertini lavoriamo da un paio d’anni, ma la scoperta è degli ultimi mesi, grazie al taccuino che mi fu mostrato anni fa con gli schizzi tratti da uno scavo abusivo», racconta il dott. Biondi, alludendo alla collezione archeologica del professor Guido Libertini, a suo tempo esperto di antichità e rettore dell’Università di Catania, che donò i suoi tesori all’ateneo. Tesori di gran pregio antiquario, misti però a diversi falsi targati Antonino Biondi, appunto, che solo ora è stato possibile individuare.
L’intera collezione, su cui lavora un team di ricercatori dell’Università e dell’Ibam del Cnr, con l’Istituto nazionale di Fisica nucleare, sarà esposta per la prima volta a partire dal prossimo autunno, quando aprirà il Museo archeologico dell’ateneo catanese. Presto sarà dato alle stampe anche il relativo volume, a cura di Giacomo Biondi, Graziella Buscemi Felici ed Edoardo Tortorici.
Che a Centuripe si fosse sviluppata una fiorente industria manifatturiera del falso non era certo un mistero neanche per i contemporanei della prima metà del Novecento. I terreni della rinomata città sicula ellenizzata venivano dissodati più dai tombaroli che dagli archeologi, spesso allibiti dalla quantità di reperti immessi sul mercato antiquario. Già nel 1924, l’allora soprintendente di Centuripe, Paolo Orsi, metteva in guardia «collezionisti, musei e studiosi» dall’acquistare «numerose e talvolta bellissime contraffazioni». Si legge in un altro suo documento: «Negli anni della guerra (1915-18, ndr.) e in quelli successivi di anarchia interna, una nota banda di cavatori di frodo esercitò la triste opera sua nel territorio centuripino, cagionando danni incalcolabili; tale opera è stata in qualche guisa frenata. (…) Ora, alla fase dei saccheggi è subentrata una fase delle falsificazioni». Un fenomeno devastante, rispetto al quale le autorità di vigilanza erano pressoché inermi. Al punto che, come racconta il dott. Biondi, lo stesso Orsi contribuì suo malgrado alla proliferazione del malaffare: acquistò diversi reperti per assicurarli allo Stato ma, così facendo, con l’aumento della domanda causò anche l’aumento dell’offerta da parte dei falsari. A tutto vantaggio di Antonino Biondi, che di quel circolo vizioso dominato dagli «anticari» (così venivano definiti i falsari in dialetto locale) divenne il principe.
«Fu il più furbo, il capostipite – spiega il dott. Biondi – lavorò anche come restauratore e forse operò per qualche tempo al Museo di Villa Giulia». Si fece un nome, insomma, riuscendo a celare la vera attività per piazzare i suoi reperti taroccati a musei e collezionisti non soltanto italiani. Inventò una tecnica raffinata: non costruiva pezzi nuovi di sana pianta, ma li riproduceva in serie attraverso i calchi degli originali. Le vere pitture a tempera, sbiadite dal tempo, le rinfrescava per dare maggiore brillantezza ai colori; in alcuni casi le personalizzava aggiungendo qualche invenzione di gusto pseudo-ellenistico, visto che gli archeologi difficilmente potevano comparare lo stile, non avendo a disposizione che pochi esemplari autentici. Soltanto con le più moderne tecniche di analisi, non a caso, è stato possibile datare e scoprire le contraffazioni.
Con astuzia e perizia Biondi ideò «un’estetica dell’imbroglio», afferma lo studioso suo omonimo. In tanti ci sono cascati. La testa di Sileno è solo un esempio: l’originale è al museo di Siracusa, mentre a Centuripe è custodita una copia, ricavata dalla stessa matrice che i discendenti di Biondi hanno continuano ad usare per le copie autorizzate. In giro per il mondo, dal Metropolitan di New York al Getty di Malibu, sono conservate statuine di provenienza asiatica terribilmente simili agli schizzi del famoso taccuino. Ci vorrà tempo per analizzare i numerosi reperti («almeno centinaia») di più che dubbia autenticità. «Siamo solo alla punta d’iceberg, ne vedremo delle belle», osserva il dott. Biondi, secondo il quale il falsario centuripino dava fondo al suo talento «solo per guadagnarci».
Eppure, deve esserci una molla psicologica non trascurabile (una sorta di delirio di onnipotenza?) in chi riesce per decenni a spacciare per buone autentiche patacche, e ad accendere furenti contenziosi tra accademici. E’ il caso dei sette tondi fittili con ritratti policromi, che nel 1939 furono donati a Mussolini da un acquirente del mercato antiquario. L’archeologo Giulio Emanuele Rizzo li datò al III secolo a. C., e il ministro dell’Educazione, Giuseppe Bottai, con apposita cerimonia li affidò al museo di Napoli. Solo un anno dopo Carlo Albizzati, esperto di arte greca e romana, avanzò riserve sull’autenticità, e ingaggiò con Rizzo una disputa accanita (beccandosi perfino una querela), alla quale partecipò anche Libertini, che ad Albizzati diede dell’incompetente.
Molto tempo dopo, grazie alle analisi chimico-fisiche, si scoprirà la verità: i vasi di Mussolini sono di materiale e fattura originali, ma ridipinti in tempi moderni e provenienti proprio da Centuripe. La stessa area, del resto, da cui provengono diversi pezzi della collezione di Libertini, che di Antonino Biondi fu amico tanto da tenerne a battesimo la figlia, e ricevere – in dono o dietro pagamento – preziose patacche. A poco erano serviti gli strali di Orsi (testimoniati anche dal carteggio con Libertini), che a un certo punto arrivò a denunciare «la famosa banda Biondi EC».
Verrebbe da chiedersi se Libertini difendesse Biondi in buona fede, o se in qualche modo ne fosse diventato complice per accresce il valore di mercato della sua collezione. «No, non credo – risponde il dott. Giacomo Biondi – Libertini era ricco di suo». E allora qui torna il dubbio sui moventi che spinsero il falsario a prodigarsi tanto per la frode. Il denaro, la ricchezza, certo, l’autocompiacimento per aver affinato una tecnica artistica paragonabile a quella degli antichi. Anzi, equiparabile ad essa, se illustri studiosi hanno battagliato per accreditare l’autenticità di quei falsi. Come si sarà sentito, Antonino Biondi, nell’assistere alle baruffe accademiche da occulto pomo della discordia? Impossibile saperlo. Si può solo immaginare, prendendo spunto da fatti analoghi come le famose teste di Modigliani rinvenute nell’Arno, frutto della “zingarata” di alcuni ragazzi che riuscirono a gabbare perfino un insigne storico dell’arte come Giulio Carlo Argan. Anche la letteratura si è lasciata affascinare dal mondo dei falsari. Umberto Eco ci ha scritto sopra due romanzi: «Baudolino», sul rigoglioso mercato delle reliquie nel Medio Evo, e «Il cimitero di Praga», che ricostruisce la genesi immaginaria dei due più clamorosi falsi della storia moderna: i Protocolli dei Savi di Sion, e il caso Dreyfuss. Peccato che Antonino Biondi non abbia potuto leggerli e raccontarci le sue impressioni in soggettiva.

Altri link sullo stesso argomento:

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Il-Cnr-incastra-il-falsario-che-truffo-Mussolini-altre-opere-contraffatte-a-Catania-0fd621ce-bc88-4ea0-b530-5d788d3a1996.html

 

http://www.stampa.cnr.it/documenti/comunicati/italiano/2014/Giugno/42_GIU_2014.HTM

 

http://www.lasicilia.it/articolo/l%E2%80%99%C2%ABanticario%C2%BB-di-centuripe-che-truff%C3%B2-anche-il-duce

 

http://www.scienzaoggi.net/2014/06/28/rifilo-ritratti-ellenistici-falsi-anche-al-duce/

 

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2014/06/27/foto/svelata_l_identit_del_falsario_che_ingann_mussolini-90146401/1/#1

 

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/28/archeologia-il-falsario-di-centuripe-che-inganno-anche-benito-mussoliniPalermo08.html

 

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